Resistente nel tempo

e i miei amici io li ho chiamati piedi
perché ero felice solo quando si partiva...
(analfabetizzazione - claudio lolli)




martedì 27 settembre 2022

Claudio Lolli - Voglia di silenzio

E adesso è il turno del mio amato Claudio Lolli, ripubblico molto volentieri la recensione che scrissi per la Brigata Lolli di questo disco meraviglioso, meno conosciuto di altri ma non per questo meno bello. In questo disco c'è anche una delle canzoni che più mi identifica, ovvero Via col vento, in cui c'è proprio rappresentato quello che io avrei voluto essere, ma che le vicissitudini della vita non mi hanno permesso di essere, ovvero un professore.  E in “Via col vento” è rappresentato proprio quel tipo di insegnante anarchico che mi sarebbe piaciuto essere! 💙

L'album è questo che vedete qui sotto, e subito dopo come al solito in azzurro la recensione, nella quale mi è piaciuto sottolineare anche alcune intersezioni (termine che mi piace come sapete) con l'album L'uomo occidentale di Bennato del quale ho ripostato la recensione (cliccare qui se volete leggerla o rileggerla) alcuni giorni fa!

Copertina album Claudio Lolli (omonimo)

Claudio Lolli: Voglia di silenzio (La Brigata Lolli, 1 giugno 2004)

La canzone che fino a oggi mi ha dato più brividi non è di Guccini.  Non è nemmeno di De Andrè.  Eppure questi due meravigliosi signori hanno saputo darmene di brividi in tutti questi anni.  E tanti!

Quella di cui parlo è una bellissima canzone, di quelle che riescono a cambiare la visione delle cose, che rispecchia in pieno quella che è ormai da qualche anno una delle mie esigenze primarie: voglia e bisogno di silenzio!  Come dice il mio amico Red, a volte è bello capirsi senza parlare!  Così come sarebbe bello se tanta gente che ci circonda, dal mondo politico a quello sportivo, dalla cerchia dei conoscenti a quella dei colleghi di lavoro, dai parenti agli amici, provasse a chiudere gli occhi lasciandosi trasportare dai pensieri o, perché no, provasse a godere di questa incredibile sensazione.  È bello a volte starsene in silenzio, scoprire, gustare il silenzio che la mente può offrirci anche in presenza del rumore più assordante, ascoltare in silenzio una persona cara, godersi il silenzio dei propri sentimenti che non hanno nulla da dire perché si esprimono da soli (“tutte le lingue del mondo non ci servono per capirci e l'unica lingua che ho non mi basta per baciarti, per baciarti dove vorrei, dove sei bella come sei, dove non c'è mai stato bisogno di parlare” – Tutte le lingue del mondo, quarto splendido brano dell’album che stiamo scoprendo insieme), immergersi nel silenzio della penombra della propria stanza in quei momenti in cui non si sa che cosa fare per prima e non si ha nemmeno voglia di pensarci.

Una volta esisteva un silenzio che parlava:

...
ripensando a quel silenzio magico,
quel silenzio che non c'era più,
e ai rumori del mondo, antipatici,
dispettosi alzavano il bicchiere,
e i più romantici svillaneggiavano 
mostrando il sedere...

Sì, la canzone magica è questa, “La fine del cinema muto”, di Claudio Lolli, contenuta nell’album del ritorno di Claudio sulla scena, sulla nostra scena, “Claudio Lolli – Omonimo” del 1988.  Si è trattato di un ritorno alla sua maniera, cioè appunto in silenzio.  Tanto è vero che molti dei suoi estimatori non se ne sono nemmeno accorti subito, ma soltanto dopo qualche anno quando Claudio, assieme al suo chitarrista e amico fraterno Paolo Capodacqua, ha cominciato a proporla durante i concerti del loro “Viaggio in Italia”.  E allora la domanda era d’obbligo “Ma allora hai scritto qualcos’altro in questi ultimi anni?”  Inutile dire che, per noi, si è trattato di un ritorno alla grande.

“La fine del cinema muto” ci trasporta, fra un brivido e l'altro, in un mondo magico, in cui più si cerca di rimanere e da cui invece purtroppo più si continua a uscire.

...
si perdevano in discorsi accademici
sulla storia e il suo occhio di lince,
per capire se è vero che chi perde ha torto
e che ha sempre ragione chi vince...

Già, chi perde ha torto e ha sempre ragione chi vince!  È la ferrea regola del “saper campare”!  E non solo!  Edoardo e Eugenio Bennato hanno ripreso questo stesso concetto applicandolo alle guerre (“perché il più debole ha sempre torto e il più forte ha sempre ragione” – A cosa serve la guerra – da “L’uomo occidentale” di Edoardo Bennato), ai motivi futili e insensati per cui vengono combattute.  I potenti una guerra la vincono sempre, i deboli la perdono sempre.   Non ha bisogno di commenti!  I parallelismi fra i due album non sono però finiti.  Il secondo splendido brano del disco di Lolli, “Aspirine”, è anch’esso un pezzo da ascoltare in silenzio, al quale si riconduce in qualche modo “Every day, every night – A Kiev ero un professore” del disco di Edoardo.  I due personaggi, il professore di filosofia di Bennato (“perché tra il mio futuro ed il mio passato questa terra di nessuno è un passaggio obbligato”) e l’uomo descritto da Lolli (“c’è terra di nessuno fra l’angoscia e Gorbaciov... e lì vorrei portarti e riposarci ancora un po’”), si trovano entrambi a fare i conti con un passato, che comunque non rinnegano, per rivedere il proprio ruolo nella società il primo, e il proprio rapporto sentimentale il secondo.

Si passa poi dalla quotidianetà, sempre silenziosa, de “La pioggia prima o poi” (“Le impressioni solite della luce e del colore si mescolano a un brivido di aria mattutina, le automobili cominciano a muovere le ore, ti spettino un orecchio e ti faccio più carina... e la città è già nuvola, oasi senza deserto, e camminiamo tutti dentro alla carta velina, sotto a un cielo pirata, con un occhio coperto, la pioggia, prima o poi, ci arriverà vicina”) al perenne contrasto chiaro con le ferre regole della società, per la quale il tempo è denaro, laddove per Claudio invece è molto più importante, direi fondamentale nella vita di tutti i giorni, quel tempo, appunto “Tempo perso” (“il tempo ci scrittura come un impresario, noi lavoriamo gratis nel suo calendario e con un contratto ci farà pagare le poche cose che riusciamo a rubare, i baci rubati dietro le colonne o nel tempo perso di una notte insonne”), che invece denaro non è, ma rappresenta ben altro per noi che transitiamo velocemente in questa vita (“il tempo presente non si conosce, perde tempo a difendersi dalle angosce, si rifà vivo, molto invecchiato, solo quando sarà tempo passato”) e che avremmo anche il diritto di godercela un po’, in silenzio.

Chiude il disco un brano che secondo me è un vero capolavoro, sia per la musica (probabilmente è l’arrangiamento meglio riuscito di tutto l’album), che si lascia ascoltare ancora prima di far caso alle parole (cosa non facile nelle canzoni di Claudio), ma soprattutto per come racconta quello che racconta.  È un pezzo che mi tocca profondamente, che tocca una dimensione (quella del professore) sempre silenziosa, che è tutta mia e che sono riuscito solo di sfuggita a sfiorare con mano.  Credo proprio che insegnare sia quello che avrei voluto fare da grande, ma la vita mi ha portato purtroppo a dover fare altre scelte.   Aver vissuto il contatto con i ragazzi per poco meno di un anno mi fa mancare ogni giorno di più questa dimensione di rapporto fra professore anarchico (“Di cosa parleremo stamattina, di Marx oppure dell'ottava rima, o studieremo nella nebbia sui vetri le probabilità di futuro per gli innocenti, innocenti come siete voi, santi volgari ed ignoranti eroi di un mondo che non vuole e comprerà la vostra libertà” – “cari ragazzi dell'ottanta noi, santi volgari ed ignoranti eroi, rompere i vetri in caso di soffocamento ... e via col vento...”) e studenti (“Via col vento, via col vento, che non ha più risposte, solo un presentimento, via col vento, professore, per cominciare a vivere abbiamo poche ore, via col vento, via col vento, chissà perché mi viene in mente oggi la mia prima millecento...”), dimensione che Claudio, in  “Via col vento”, ci fa vivere con incredibile emozione. 

Ho voluto lasciare in fondo la terza canzone dell’album, che ha per me un significato particolare perché parla di una terza Rimini dopo quelle di De Andrè – “Rimini” – e Guccini – “Inutile” –.

È difficile fare confronti, e sicuramente io sono la persona meno indicata per fare analisi di testi, visto che ci sono sicuramente persone più competenti di me in proposito, fra professori, linguisti e letterati.  Ma questo tipo di confronto mi intriga troppo, sebbene non è mia intenzione farlo ora qui!  Mi intriga perché Rimini ha un suo fascino, lo ha sempre avuto, e non credo che sia casuale che tutti e tre i più grandi ne abbiano parlato, utilizzandola come pretesto per raccontare qualcosa con una canzone.  Già dalla prima strofa di “Adriatico” (“Non ci sono olandesi a Rimini a parte qualche turista, non ci sono ingegneri idraulici con progetti di riconquista, non ci son terre da recuperare, niente battaglie, tutto a posto sembra che debba averla vinta il mare...”) viene subito il primo pensiero, per non chiamarlo sussulto, che ti prende in toto, e cioè se questi versi vogliono in qualche modo ricordare le altre due Rimini, quella di Guccini (“a parte qualche turista”), ma soprattutto quella di De André (“non ci sono ingegneri idraulici con progetti di riconquista, non ci son terre da recuperare”, oppure “che non promette viaggi che non ci porterà mai lontano” in una strofa più avanti).  Qui veramente si tratta di un grosso sussulto!  Infatti, anche se la canzone è della metà degli anni ‘80 quando ancora aspettavamo con ansia il prossimo album di De André (“Le nuvole” n.d.a.), ti sembra quando la senti come se Lolli volesse ogni volta ricordare Fabrizio... forse perché siamo noi a volerlo ricordare attraverso le sue parole.  Le tre Rimini, in ognuno dei casi una Rimini simbolo di qualcosa di triste, la grande distruzione di un popolo descritta da De André, la piccola triste giornata d'amore descritta da Guccini, le piccole grandi tristi sensazioni descritte da Lolli.  Queste ultime sensazioni esprimono anch’esse un forte desiderio di silenzio, che contrasta con il “baccano” derivante da un mare come l’Adriatico, che per Claudio rappresentava anche quelle vacanze alle quali si è costretti da una tipica famiglia borghese emiliana.

Vorrei tornare un attimo a quel mio bisogno di silenzio che, come ho scritto all’inizio, contrasta con il dover vincere a tutti i costi.  Spesso infatti vincere viene identificato con il parlare e il silenzio diventa inevitabilmente perdente!  “Ma che fai, non parli?” mi dicevano quando ero bambino, oppure “Ha detto una parola, adesso nevica!”, anche in pieno luglio.  Poi si cresce, si comincia a lavorare, e avere sempre qualcosa da dire diventa pressante, quasi asfissiante... per vincere!  Non mi piace vincere così!  Mi piacerebbe vincere in un’altra maniera, facendo vincere i perdenti... forse è per questo che non farò mai carriera. 

CLAUDIO LOLLI - OMONIMO (Claudio Lolli)

1. La fine del cinema muto
2. Aspirine
3. Adriatico
4. Tutte le lingue del mondo
5. La pioggia prima o poi
6. Tempo perso
7. Via col vento